top of page

Racconti di miniera

120294700_976591182842032_20429575595322

SALVATORE UCCHEDDU - (Ottobre 1888 - Giugno 1988).

“Iniziò a lavorare in miniera nel 1899 a undici anni, in una delle più grandi miniere del Marganai in territorio di Domusnovas: Sa Duchessa, dove si estraeva piombo argentifero, rame e zinco.

La famiglia di Srabadoricu "Cheddu", era troppo povera per permettersi di tenere a casa il loro figlio maggiore e mamma Filomena, sofferente da sempre di una fastidiosissima patologia agli occhi (trichiasi) che le procurava forti dolori, gli “prestò gli anni” per poter essere assunto dalla società belga Vieille Montaigne che aveva in concessione la miniera dal 1871.

Il fratello minore Manueliccu, invece, per scampare alla fame fu avviato alla carriera militare.

Fu così che Srabadoricu entrò a far parte della moltitudine di operai-bambini che affiancava le cernitrici nel loro duro lavoro. Strappati alla spensieratezza dei loro verdi anni, privati del diritto all’istruzione e alla tutela della salute per una misera paga.

I bambini e i ragazzetti come lui, ignari del pericolo o più spesso per dimostrare la loro bravura e pur di ubbidire al caporale si buttavano a capofitto in imprese più grandi di loro, cadendo spesso vittime di incidenti per i quali, nessuna responsabilità era addebitata alle società minerarie, poiché nessuna legge fino ad allora ne proteggeva l’incolumità.

Piccolo di statura, agile e tenace, si distingueva per la sua grande forza fisica, spirituale e intellettuale, non esisteva mansione che non riusciva a svolgere e divenne ben presto un abilissimo armatore.

La buia miniera che ingoiò la sua fanciullezza gli risparmiò tuttavia la chiamata alle armi, dandogli l’opportunità di crescere una famiglia numerosa e vivace.

Nei primi anni Trenta del 1900, al rientro dal suo turno di lavoro, Srabadoricu imbracciava il fucile e con i suoi fedelissimi cani Flora e Nibbio si allontanava di poche centinaia di metri dalla sua abitazione posta in "s’Arrughixedda" a Domusnovas, dirigendosi verso est, dove il terreno si faceva dolcemente collinoso e bastava avere solo un po’ di pazienza per assicurarsi la cena.

Rientrato a casa con due, tre lepri e spesso anche qualche pernice, poteva sfamare la sua numerosa famiglia e barattare il surplus col suo vicino di casa, Cicittu Crabiò, tenutario di una locanda e "buttega de binu" che in cambio della prelibata cacciagione gli offriva cereali, legumi e ortaglie di ogni sorta.

Srabadoricu non disdegnava, all’occorrenza, di portarsi anche un cinghiale abbattuto in spalla.

La sua fama di abile cacciatore era grande.

La modesta paga del minatore, invece, benché garantisse un sicuro reddito non era sufficiente, ma grazie a questa attività venatoria, egli riuscì, così come tanti altri padri domusnovesi, a garantire ai propri figli una vita umile ma dignitosa.

Fu per la sua instancabile operosità e le sue mille risorse, ma forse anche per le sue idee poco consone all’ideologia dell’epoca, che il Podestà potè tranquillamente esimersi dall’obbligo di elargire il pur gramo aiuto economico destinato alle famiglie numerose e bisognose, liquidandolo con un ironico

- "Tu Uccheddu non ne hai bisogno!"

A sessanta anni, per la sua particolare bravura e la sua lunga esperienza lavorativa, Srabadoricu fu scelto e mandato dalla Direzione della Miniera a rappresentare l’Azienda presso la 1° Fiera della Sardegna a Cagliari, che ebbe luogo nei locali della passeggiata coperta del Bastione Saint Remy nel 1948.

In un clima di povertà assoluta (siamo in pieno dopoguerra) ma con tanta voglia di rinascita, Srabadoricu allestì uno stand che raccontava non solo la sua Azienda, ma tutto il mondo minerario, ponendo particolare attenzione nella realizzazione di un armatura (struttura di sostegno delle gallerie).

L’apprezzamento per il suo lavoro fu immenso e lo stand della AMMI ebbe un notevole successo così come l’intera Fiera che fu visitata da 55000 persone.

 

Si apprestava ad andare in pensione, ma la sua persona poliedrica ed eclettica era ancora necessaria all’amministrazione mineraria: gli venne proposta la gestione della fornitura del pane per le quasi 300 anime del villaggio minerario di Sa Duchessa. Non ci pensò neppure un attimo ad accettare ed organizzare il suo piccolo panificio in una casa messa a disposizione dalla miniera, allestendo il forno a legna, "sa domu e su pani" con i vari attrezzi da lavoro, la rudimentale impastatrice a rulli di legno e tanta forza di braccia.

La produzione mineraria cominciò ad avere il suo declino e la miniera chiuse definitivamente nel 1971. Ritornò al suo paese a godersi la vecchiaia e la sua famiglia.

Ma la sua tempra ancora forte e il suo carattere energico e ardente come il fuoco del suo sigaro fumato a "fogu aintru" gli chiedeva ancora azione: memore del suo antico e nobile mestiere di armatore e con la mente rivolta ai suoi colleghi minatori delle miniere carbonifere si dedicò a costruire con le canne, tagliate a fine inverno tra gennaio e febbraio, quelle antiche gabbiette dove i minatori custodivano un piccolo uccellino, ignara vittima sacrificale che aveva l’ingrato compito di segnalare il pericolo: quando il piccolo volatile manifestava malessere i minatori dovevano immediatamente lasciare le buie gallerie.

 

Le lampade grisumetriche sostituirono poi gli sventurati volatili e la produzione di tali gabbiette non fu più necessaria, ma grazie al suo talento e la sua estrosità alcune gabbiette in canna sono arrivate fino a noi, custodite come tesori da pochi fortunati domusnovesi.

Sempre in quegli anni fu invitato dal costituente gruppo folk domusnovese che lo volle come insegnante di "ballu tundu", Il tradizionale ballo sardo che veniva tramandato oralmente da generazione in generazione e oramai nessuno più a Domusnovas lo ballava.

Srabadoricu, era stato in gioventù un provetto ballerino, esperto conoscitore degli antichi passi, dal "passu torrau" a su "ballu cabillu" e con un sorriso compiaciuto e il pensiero rivolto alla sua dolce Maria, conquistata proprio durante i balli in piazza dopo la messa domenicale, accettò con piacere.

Nelle ore buche, poi, l’instancabile Srabadoricu, un po’ artista e tanto artigiano, si dedicava alla riparazione degli ombrelli messi fuori uso dal impetuoso maestrale: rattoppava la tela, sostituiva le stecche e all’occorrenza sostituiva il manico e l’ombrello ritornava come nuovo pronto ad affrontare altri cento e più acquazzoni.

Si apprestava a compiere cento anni, Srabadoricu "Cheddu", mancavano gli ultimi preparativi per la grande festa che avrebbe voluto dare in compagnia della sua grande famiglia tirata su con sudore e fatica ma soprattutto con tanta allegria, ironia, buon mangiare e buon bere.

Fu una delle poche cose che non gli riuscì, forse l’unica, a pochi mesi dal grande giorno se ne andò col suo sigaro "a fogu aintru" sbeffeggiando la vita.”

Dedico queste poche righe a un Uomo che ha dato tanto alla collettività, al mondo del lavoro e alla famiglia, e a mio marito Marino Fulgheri, anche lui minatore, che appare sulla foto del 1970 con suo nonno Srabadoricu.

Grazia Villasanta, nipote acquisita di Srabadoricu, in rappresentanza di Associazione Circhiola, sodalizio culturale impegnato nella ricerca e salvaguardia della memoria storica.

 

Grazia Villasanta

© 2023 by The Berkshire Trio. Proudly created with Wix.com

bottom of page